Il movimento delle Confraternite di Misericordia

L’avere volontà di far consapevolemnte del bene al prossimo, prestando il proprio servizio senza alcuna retribuzione ma solo animati da un senso di umana e cristiana carità, ha ottenuto, da sempre, un particolare rilievo nella storia fiorentina.

I fratelli della misericordia sono sempre là, accanto al ferito, all’ammalato, all’incurabile, al morto; con la tipica veste nera addosso e il cappuccio detto “buffa” sulla testa.
Questo anonimato nel compiere le opere di carità era ispirato all’insegnamento cristiano che Sotto la “buffa” infatti si poteva celare il volto di un modesto popolano o quello di un importante personaggio, resi così simili dall’anonimato, ma legati dallo stesso spirito di carità.
La veste nera, nel nostro paese, adesso viene usata durante la cerimonia della vestizione dei nuovi confratelli e consorelle attive e durante alcune cerimonie religiose; ma lo spirito di allora è rimasto intatto.

Le Misericordie hanno le loro origini nelle prime forme di partecipazione dei cittadini alla vita della comunità che presero il nome di Confraternite. E’ nel medioevo che queste forme di aggregazione assumono una identità più definita, dal X secolo in poi, in queste tipologie:
– Le Confraternite di Devozione che consentono una partecipazione più diretta dei laici alla liturgia;
– Le Confraternite dei Penitenti che pongono l’accento sul rigore di e sulla necessità del pentimento e della penitenza;
– Le Confraternite di Mestiere che uniscono attorno al culto del santo patrono i membri di una stessa professione prestando agli associati i servizi di “mutuo soccorso”;
– Le Confraternite di Beneficenza (le Misericordie in Toscana, in Spagna e Portogallo, ed altre regioni che, nella pratica della carità, offreno specifici servizi di assistenza, gestendo ospedali, curando la sepoltura dei morti, ecc.

In secoli politicamente confusi le Confraternite si trovarono spesso a svolgere un ruolo da protagonista sul piano religioso e civile. La crescente importanza, anche economica, assunta da alcune Confraternite, e la loro grande capacità di mobilitazione popolare, provocherà dal sec. XIV, ripetuti tentativi volti ad “imbrigliarne” lo sviluppo e l’attività. Sempre in bilico fra il sospetto di eresia e di opposizione al potere politico, arricchite per donazioni e lasciti, le Confraternite diventarono la forma associativa volontaria più diffusa in Europa. Con queste radici e su queste premesse prende avvio il fenomeno delle Misericordie.

La prima Misericordia, quella di Firenze, risale al 1244; la prima traccia documentale è del 1321 ed è relativa all’atto di acquisto di una casa di proprietà di Baldinuccio Adimari sita davanti al Battistero. Ancora del 1321 è una nota relativa alla “Messa per la Pace” fra guelfi e ghibellini, organizzata dai Capitani della Compagnia della Misericordia e della Compagnia del Bigallo. Esistono poi alcuni atti e rogiti notarili, datati a partire dal 1330, nei quali la Compagnia della Misericordia risulta beneficiaria di lasciti e donazioni. Risalgono al 1361 quattro registri in cui sono riportati i nomi degli ascritti suddivisi per quartiere. In quegli anni la Compagnia è retta da otto Capitani, due per quartiere, scelti in modo tale che sei di questi appartengano alle Arti Maggiori e due alle Minori.

Alla metà del 1300 il Comune inizia a porre “maggiore attenzione” alle Confraternite con lo scopo, non dichiarato, di gestirne il patrimonio e di indirizzarne la politica sociale. Questa linea politica venne facilitata dall’atteggiamento dei Capitani delle diverse Compagnie costantemente alla ricerca di protezione politica e di “facilitazioni” per i loro sodalizi. Le Compagnie erano frequentemente beneficiarie di eredità e lasciti da parte di cittadini facoltosi, ma l’opposizione degli eredi naturali ostacolavano l’acquisizione spingendo i Capitani a chiedere una legislazione speciale che favorisse i propri sodalizi.

Nel 1366, la Compagnia di Orsammichele, di gran lunga più ricca fra le Compagnie fiorentine del tempo, viene costretta ad accettare la nomina dei propri camarlinghi (amministratori del patrimonio) da parte della della Repubblica.

La Riforma degli Statuti, avvenuta nel 1361 consentì alla Misericordia di Firenze di ritardare gli effetti di questa politica, ma nel 1425 viene costretta a fondersi con la Compagnia del Bigallo e nel 1440 il nuovo sodalizio, originato dalla fusione, si vede imporre come proprio camarlingo quello della Compagnia di Orsanmichele già da tempo era di nomina pubblica.

Verso la metà del XV secolo, a Firenze come nel resto d’Europa, tutte le Compagnie dedite alla beneficenza ed all’intervento sociale finiscono sotto il controllo diretto od indiretto dello Stato che le riorganizza secondo i propri fini di politica sociale.

A Firenze la Misericordia sarà ricostituita in forma autonoma nel 1490, con Statuti che ne modificano profondamente il corpo sociale, rendendola sostanzialmente diversa dal vecchio sodalizio, vi era la più ampia partecipazione a base popolare.
Con il XVI secolo le Compagnie vennero messe in condizioni di esprimersi soltanto nei limiti parrocchiali comeConfraternite Sacramentali o come società di assistenza distanti dal popolo per essere soggetto politico autonomo. Perciò pur registrandosi un numero elevato di Compagnie e Confraternite, non si sono sviluppati, per secoli, rapporti di reciproco contatto ma ciascuna di esse ha continuato a vivere concentrata sulla particolare forma di devozione o sul servizio alla propria comunità. L’unica forma di contatto istituzionale che sembra sopravvivere, in questi secoli, è rappresentata dalle occasioni devozionali e dai Pellegrinaggi Giubilari.

Su questo fronte, a partire dal XVI secolo, le diverse Confraternite cominciarono a stabilire forme di reciproca associazione in modo da “lucrare le indulgenze” di cui erano beneficiarie. In Toscana, la politica dei Medici, inaugurata nel 1490 con la ricostituzione della Misericordia di Firenze, produce la progressiva trasformazione degli antichi sodalizi in “nuove” Confraternite di Misericordia.

Il 21 marzo 1785 viene emanato il Decreto di soppressione delle Confraternite Laicali da Pietro Leopoldo I di Lorena su ispirazione di Scipione de’ Ricci, Vescovo, scismatico e giansenista, di Pistoia, poi, dal 1790, con il granduca Ferdinando III, le Confraternite vengono autorizzate a riprendere la loro attività seppure in modo condizionato.

Poiché la Misericordia di Firenze, era stata esentata dagli effetti del Decreto dell’85, molte delle Confraternite, ricostituite dopo il 1790, trovarono opportuno affiliarsi alla alla Misericordia fiorentina. All’affiliazione reciproca per motivi devozionali, sviluppatasi nei secoli precedenti, si aggiunge, così, nel XIX secolo, il fenomeno della Affiliazione alla Misericordia fiorentina promosso da fini politici.
Successivamente, con l’Unità d’Italia e la capitale a Roma, fra le Misericordie politicamente più attente emerge la necessità di dare vita ad un organismo superiore, rappresentativo delle istanze locali e delle tradizioni dell’intero movimento, a cui demandare la conduzione del dialogo con il Governo centrale. 

Nel 1899 si riuniscono a Pistoia i rappresentanti di 40 Confraternite e danno vita alla Federazione trasformata, poi, in “Confederazione” nel 1947.

[Fonte: Confederazione Misericordie d’Italia]

Le opere di Misericordia

LE OPERE SPIRITUALI

Consigliare i dubbiosi
E’ difficile trovare qualcuno che s’impegni a rasserenare chi è nel dubbio, ad offrirgli la comprensione fraterna ed il suo aiuto. La cultura del dubbio va sempre più diffondendosi: tutto è opinabile, tutto è precario, niente è certo. Ecco allora che questa mentalità, così distruttiva e logorante del cuore e dello spirito umano, trova soccorso nell’opera del fratello della Misericordia che, superando anche lo stato d’isolamento in cui si vive, interviene a sostegno di chi non sa cosa pensare, cosa dire o cosa fare.

Insegnare agli ignoranti
Il servizio della verità, con il suo coraggio, la sua generosità, deve essere offerto agli sprovveduti davanti alle necessità della vita, oppure inermi ed indifesi nel travaglio dei rapporti sociali.
Si deve avere più misericordia verso chi fatica, verso chi non sa farsi le proprie ragioni o non sa vedere gli obiettivi della vita, senza però disprezzare chi in qualche modo invece vorrebbe imparare a valutare le ragioni dell’esistenza, le prove della vita, la promozione umana.

Ammonire i peccatori
Questa dovrebbe essere un’opera di ammonimento, di richiamo di correzione. Purtroppo è poco praticata anche se la sua necessità è più che mai presente. Non la si deve considerare come un giudicare gli altri, ma da fratelli porgere la mano, aiutare, prevenire lincauto, soccorrere il distratto, impedire al fratello di mettersi su di una strada sbagliata.

Consolare gli afflitti
Invece di ritenere le quotidiane tribolazioni della vita una provocazione per aiutare chi si trova nella difficoltà, spesso ci si chiude nel nostro guscio, nel più completo egoismo, fingendo di non sapere, di non vedere, pensando così di essere dispensati dal condividere, dal partecipare, dal solidarizzare con colui che ci sta accanto.
Il fratello della Misericordia, sensibile a queste difficoltà ed ai travagli della vita, apre invece il suo cuore all’afflizione e al dolore dando certezze, fiducia, speranza, non limitandosi però a consolare l’afflizione, ma impegnandosi a concorrere all’eliminazione delle cause che la provocano.

Perdonare le offese
La carità del perdono deve essere stile di vita del confratello. Il saper perdonare è indice della libertà, della generosità, del cuore, della capacità di amore incondizionato; è espressione di un cuore misericordioso; è trasformazione del perdono in fraternità vissuta, in cordialità manifestata, in profonda reciprocità di sentimenti.

Perdonare pazientemente le persone moleste
E’ un’opera di Misericordia così concreta che si può considerare corporale e non solo spirituale poiché molte volte è un’ingombrante pesantezza di presenza, di pretese, di egoismi, di stranezze mentali.

Pregare Dio per i vivi e per i morti
E’ degna opera di misericordia legata a tutta quella teologia e morale cristiana che avvolge il mistero della vita che non ha soltanto un suo inizio, ma anche la sua conclusione nella morte.
Spesso di fronte ai problemi delle cose ultime si trovano soluzioni di comodo per distogliere l’attenzione del cuore e dello spirito di fronte a questa realtà , come ad esempio delegare le istituzioni.
Un uomo che muore non necessita di una istituzione, ha bisogno di un fratello che gli faccia sentire che non è solo, un fratello che tenendolo per mano gli faccia comprendere che il morire non rompe la solidarietà, non compromette la vita, ma ha invece il significato di trasfigurazione delle cose che passano in quelle che non passeranno più .
Le Misericordie sono molto attente a questa opera, convinte che il loro volontariato non è qualcosa in più del dovere, ma in realtà cerca di compensare un preciso dovere di tutti.

LE OPERE CORPORALI

Dar da mangiare agli affamati
Dar da bere agli assetati
Vestire gli ignudi

Queste opere, come quelle che seguono, si riferiscono alle preoccupazioni primarie della vita: mangiare, bere, vestire, ospitare, curare, visitare, seppellire.
Si deve riflettere però sul fatto che quanto più evoluta si fa la vita, tanto più le situazioni materiali in cui bisogna praticare la carità assumono aspetti ed esigenze nuove.
Essere attenti perché ai fratelli non manchi il lavoro è indubbiamente come dar loro da mangiare, da bere, da vestire; è come aiutarli ad essere inseriti in modo degno nel contesto della società in cui si muovono.
Si deve quindi trovare l’impegno per far sì che ogni persona abbia il proprio lavoro, eliminando l’egoismo di chi ha troppo.
Ognuno pensa egoisticamente a sé senza riflettere, senza considerare che il suo star meglio può essere pagato da qualcuno col suo star peggio.

Ospitare i pellegrini
La mentalità attuale, consumistica ed egoista, è in netto contrasto con la carità cristiana e solo le opere di misericordia possono aiutare a trovare una coscienza ed una coerenza evangelica.
Nella realtà odierna ospitare i pellegrini non è offrire un semplice aiuto, ma aprirsi alla persona e non soltanto ai suoi bisogni.
Accogliere il pellegrino, lo straniero, è fare loro spazio nella propria città, nelle proprie leggi, nella propria casa, nelle proprie amicizie, mentre spesso oggi l’aridità d’animo non è sensibile alle necessità del fratello che si trova in stato di bisogno.

Curare gli infermi
Questa opera di misericordia deve essere ripensata, rivissuta ed anche rivalutata come cultura, come costume, come segno di civiltà e di rispetto della vita. Bisogna porre fine alla consuetudine di scaricare all’ospedale l’ammalato abbandonandolo con i suoi problemi, con i suoi dubbi e le sue incertezze; l’ammalato, ovunque si trovi, bisogna visitarlo, bisogna stargli vicino, bisogna dargli conforto e riconoscergli una priorità di affetti.

Visitare i carcerati
Anche per questa opera si pone il problema della sua rivalutazione per il suo significato ed il suo grande valore sociale. Visitare i carcerati oggi non vuole significare soltanto andare dentro quanto anche aiutare, comprendere, accogliere, sostenere con partecipazione e condivisione i congiunti che sono fuori, in un carcere invisibile costituito dall’emarginazione e dall’indifferenza in cui sono costretti a vivere. L’impegno quindi è importante ed anche oneroso: sarà tanto più significativo per quanto, attuato con spirito di comprensione e di partecipazione, potrà rappresentare prevenzione verso il crimine ed educazione alla libertà, bene comune ed irrinunciabile.

Seppellire i morti
Da sempre le confraternite di Misericordia svolgono questo compito per il suo vero significato: il rispetto dell’uomo anche nel suo ultimo viaggio.  L’hanno praticata fin da quando i fratelli della Misericordie, con atto di umana pietà, si chinavano per strada o nei lazzaretti per raccogliere gli infelici deceduti. E’ un’opera che autentica e testimonia lo spirito del nostro essere cristiani.

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